domenica 24 gennaio 2016

La Carta per l'Acqua ha compiuto un anno

Operazione trasparenza: la Carta per l'Acqua del Gruppo CAP e la sua applicazione si estende a tutto il territorio della Città Metropolitana

Il progetto, sottoscritto dalla Conferenza dei Sindaci della Città Metropolitana di Milano, da Legambiente, Oal Comitato italiano per un contratto Oondiale per l'acqua e da alcuni corniti locali e lanciato in via sperimentale nel 2014, punta a diffondere le informazioni sulla qualità dell'acqua (del rubinetto.

In concreto, si tratta di un impegno che ha per obiettivo la trasparenza dei dati sulla qualità dell'acqua e che ha avuto un riconoscimento internazionale anche da parte dell'OCSE, l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico. La Città Metropolitana ha auspicato l'allargamento della Carta per l'acqua invitando tutti i Comuni del territorio milanese a diffonderne la conoscenza; l'ATO (Ufficio d'Ambito Territoriale Ottimale ndr) ha aderito al progetto, condividendo l'obiettivo di accrescere la fiducia nell'acqua del rubinetto.

Ma in che cosa consiste esattamente il progetto?

Innanzitutto in un importante bagaglio di informazioni a cui è possibile accedere on line. Nella sezione Qualità dell'Acqua del sito web www.gruppocap.it si possono consultare i dati analitici relativi alla qualità dell'acqua del proprio Comune, aggiornati al 31 dicembre dell'anno precedente, con un dettaglio che arriva al singolo pozzo.

Non solo, ma per ogni Comune sono disponibili dati e rapporti, per esempio sulle Case dell'Acqua, sui consumi pro capite, sulle interconnessioni idriche, sulla composizione della falda del proprio territorio, e via dicendo. Tra i documenti più preziosi è scaricabile anche la relazione annuale dell'ASL sugli acquedotti dei singoli comuni.

Oggi, la conoscenza di tutti questi dati si sta diffondendo in modo capillare: «La Carta d'intenti per l'acqua per noi è un investimento in chiave di trasparenza, responsabilità e partecipazione — spiega Alessandro Russo, presidente del Gruppo CAP — a conferma del nostro impegno per contribuire a generare valore condiviso sul territorio».

Accordo sul clima: il Pianeta non può attendere

All'inizio di dicembre si terrà a Parigi la ventunesima Conferenza delle Parti (COP21) per cercare di raggiungere un accordo internazionale sulla riduzione delle emissioni di CO2.

Si tratta di un'occasione storica per raggiungere un obiettivo inseguito da anni e non più rinviabile. Per questo , l'Europa deve essere all'altezza del suo r olo di guida e di esempio globale sull'ambiente, come ha sempre dimostrato in questi anni con politiche ambiziose in campo climatico e ambientale, e per questo al Parlamento europeo abbiamo votato una risoluzione che mette nero su bianco le nostre ambizioni.

Il 7 e 8 dicembre a Parigi si riuniranno i governi di tutto il mondo, le ONG e i rappresentanti delle imprese. Si tratta di un evento a cui lavoriamo dal dicembre 2009, quando la COP15 di Copenaghen, che doveva portare ad un accordo vincolante sul clima, si è risolta in un clamoroso fallimento. Sei anni fa hanno prevalso gli egoismi nazionali, le preoccupazioni per l'incombente crisi economica e le accuse reciproche tra Stati Uniti e Cina.

Oggi non ci possiamo più permettere un altro fallimento se vogliamo prendere seriamente l'impegno a limitare a due gradi centigradi l'aumento della temperatura globale causata dalle emissioni di Cot. In cinque anni di alluvioni, uragani e siccità il mondo ha preso coscienza dell'urgenza di limitare il cambiamento climatico e oggi l'obiettivo di un vero accordo vincolante che includa anche i Paesi emergenti è a portata di mano.

Lo scorso 15 ottobre al Parlamento europeo abbiamo quindi approvato una risoluzione con 434 voti favorevoli, 96 contrari e 52 astenuti per chiedere all'Ue e ai suoi Stati membri di puntare ad un accordo internazionale per la riduzione del 40% delle emissioni di gas serra entro il 2030, un obiettivo di efficienza energetica del 40% e un obiettivo del 30% per le energie rinnovabili. Insieme ai colleghi del Gruppo dei Socialisti e Democratici abbiamo soprattutto insistito sul fatto che l'accordo dovrà essere gius»icamente vincolante.

Inoltre nella risoluzione si chiedono finanziamenti adeguati, cioè 100 miliardi di dollari l'anno entro il 2020, e l'inclusione negli sforzi di riduzione delle emissioni anche del settore dei trasporti. Gli interessi in gioco sono enormi, ma noi eurodeputati non accetteremo niente di meno e continueremo a batterci per questi obiettivi.

Barbarossa d'autunno con straccetti di calamari


Un abbinamento impensabile, ma gustoso. Scopriamicome valorizzare le barbabietole con una Icetta semplice e molto originale

Nata a Brazzaville, capitale del Congo, Victoire Gouloubi è arrivata in Italia a 20 anni e dopo tanta gavetta è diventata una delle migliori chef sulla scena milanese. Estroversa, precisa, con un tocco raffinato, Victoire riesce sempre a mettere nel piatto qualcosa di gustoso e nuovo, pur usando ingredienti semplici e ricette di facile realizzazione.

Ecco perché, parlando di barbabietole, abbiamo pensato di chiedere a lei una ricetta insolita. L'abbinamento è davvero sorprendente e siamo certi che vi piacerà.

Ingredienti per 4 persone:


  • 100 g di lamponi
  • 250 g di barbabietole lesse 
  • 1 cipolla rossa -1 spicchio d'aglio
  • 200 g di calamari
  • sale e pepe nero q.b.
  • 5 cucchiai di olio Extra Vergine d'Oliva
  • 30 g di germogli di crescione
  • cialde di pane croccante q.b.

Come prepararla Tagliate a pezzi grandi le barbabietole e la cipolla rossa. In una pentola scaldate un filo d'olio Extra Vergine d'Oliva e fate appassire a fuoco medio le barbabietole con la cipolla rossa. 

Aggiungete lo spicchio d'aglio, il sale e il pepe, unite anche due bicchieri d'acqua. Fate bollire fino a ridurre il liquido a metà. Ritirate dal fuoco, aggiungete i lamponi e, se necessario, correggete di sale. Unite 4 cucchiai di olio Extra Vergine d'Oliva e frullate per ottenere una crema liscia.

Coprite con un coperchio e tenete da parte.Pulite i calamari, tagliateli "a julienne"e conditeli con un poco di sale e olio EVO. Scaldate molto bene una padella antiaderente, quindi buttatevi i calamari: lo shock termico li renderà croccanti fuori e teneri all'interno. Girateli su ogni lato, fino a ottenere una doratura uniforme.

Come impiattarla Con l'aiuto di un cucchiaio, mettete un po' di crema di barbabietole in un piatto fondo, adagiatevi al centro gli straccetti di calamari scottati, condite con un filo d'olio Extra Vergine d'Oliva e infine decorate con i germogli di crescione e le cialde di pane croccante. Servite subito.

ALMA, voto 10 alla Scuola Internazionale di Cucina Italiana

La conoscono tutti e chiunque voglia imparare a cucinare italiano nel mondo sa che passare da ALMA è un must.

Autorevole centro di formazione per l'ospitalità, la Scuola Internazionale di Cucina Italiana negli anni ha formato cuochi, pasticceri, sommelier, operatori di sala e manager della ristorazione, provenienti da ogni Paese, e ne ha fatto dei veri professionisti. Per diventare il migliore, bisogna studiare ai migliori, si sa... ma a noi l'ha confermato il Direttore Generale di ALMA, Andrea Sinigaglia. «In dodici anni, questa scuola è diventata un punto di riferimento nel mondo e questo mi rende molto orgoglioso.

Sono fiero di far parte di quest'avventura e di avere come guida il rettore Gualtiero Marchesi. È il nostro trascinatore e con la sua esperienza è riuscito a darci una rotta che punta sempre al massimo della qualità. Perché noi non formiamo solo cuochi, ma esperti del mondo della ristorazione a 360° e non ci accontentiamo mai».

Passione e volontà


Gli studenti sono oltre un migliaio all'anno e hanno un'età media di 23 anni, perché arrivano sia i diciottenni che hanno appena terminato la scuola superiore, sia i trentenni che invece hanno deciso di cambiare vita o vogliono specializzarsi.

Ma la differenza d'età non è mai un problema, perché la mancanza di manualità di un allievo che si cimenta per la prima volta in cucina è sempre compensata da passione e buona volontà. «L'approccio tra un giovanissimo appena uscito dall'alberghiero e un ragazzo più grande che ha capito che la ristorazione è la sua vera passione è diverso — spiega Sinigaglia - perché cambiano la maturità e la motivazione».

Alla scuola, che ha sede nel Palazzo Ducale di Colorno (Parma), si imparano sia le tecniche sia le tradizioni culinarie. Si passa dalla pratica alla teoria per orientarsi a tutto tondo nel mondo della cucina. La formazione è completa e infatti in base a un sondaggio del 2013 su 730 utenti, il 36,6% ha trovato lavoro subito, il 40,8% entro 3 mesi, 1'8,2% entro sei mesi e il 3,7% entro l'anno. Di questi 730, il 72,8% lavora in Italia, il 18,5% in Europa e 1'8,7% nel resto del mondo.

«Dare la possibilità di incontrare grandi Maestri del mondo della cucina, del vino, della pasticceria, equivale a dare la garanzia di una formazione totale ed eccelsa — ha spiegato ancora Sinigaglia — perché si impara a entrare nel mondo dell'accoglienza in ogni sua minima sfaccettatura. Poi, certo, ogni studente ha le sue predisposizioni, le sue materie preferite, anche se chiediamo il massimo in tutte le discipline.

Ma è sempre bellissimo vedere questi nostri "semi ALMA" che germogliano portando la firma della qualità italiana della cucina».

Cartoline dall'Expo


Giudizi al volo di alcuni visitatori di Expo Milano 2015

Abbiamo fatto qualche domanda a chi in questi mesi ha visitato l'Esposizione Universale. Ecco alcuni pareri anche da oltreoceano.

Dalle Marche: La famiglia di Ugo


Molto bello, peccato solo per le file. Noi ne abbiamo saltate moltissime, per la verità, perché la carrozzina di Lorenzo, che ha un anno e mezzo, è stato un lasciapassare prezioso. Però in alcuni padiglioni abbiamo dovuto comunque aspettare, come in quello della Colombia, per esempio.

I bambini si sono molto divertiti e Cecilia, sei anni, ha voluto sapere tante cose, per raccontarle poi alla maestra. Anche io e Maria siamo stati piacevolmente sorpresi. Peccato sia già finito!

Dalla Sicilia: Adele e Alfonso


Siamo rimasti un po' delusi dalla parte contenutistica. Ci aspettavamo che il tema del cibo nel mondo, anzi, della mancanza di cibo nel mondo, fosse più approfondita. E invece secondo noi è stato dato troppo spazio ai grandi marchi.

È stata una fiera, ecco, con qualche spunto in più, ma niente che non sapessimo già. Noi a casa non sprechiamo nemmeno una briciola di pane, recuperiamo l'acqua di cottura... facciamo quel che possiamo nel nostro piccolo.

Per il resto, bello. Ci siamo divertiti, anche se è stato un po' stancante. Siamo andati all'inizio della manifestazione, quando ancora non c'erano tanti divanetti e panchine lungo il Decumano...

Dalla Liguria: Matteo


Il padiglione che mi è piaciuto di più è stato quello dell'Olanda, perché allestendo una specie di Luna Park non ha voluto veicolare nessun concetto etico o morale che tanto sarebbe stato semplicemente retorico. Per il resto, ho visto pochi padiglioni a causa delle code, mi sono concentrato più sui cluster. 

Diciamo che, in generale, mi è parso un ottimo parco divertimenti, ma assolutamente non un tentativo di aprire la strada a un uso più consapevole e razionale delle risorse alimentari. Lo spreco tipico dell'Occidente era chiaramente individuabile in piccoli, ma diffusi atteggiamenti.

Dagli Stati Uniti: Kara e Patrisha


Ci è piaciuto molto, siamo rimaste colpite dall'architettura dell'Esposizione, anche se c'era talmente tanta gente che appena scese dal tram eravamo già in fila. Che scocciatura...

Abbiamo visto pochi padiglioni, perché i tempi d'attesa erano insostenibili, però abbiamo visitato quello americano e quello del Cile. Abbiamo mangiato dei burritos, la cioccolata del Belgio e le patatine olandesi e non ci siamo stancate, perché eravamo così piene di entusiasmo che fermarci ci sembrava uno spreco di tempo.

Siamo state solo un giorno e non siamo riuscite a vedere tutto illuminato la sera. In compenso abbiamo scoperto molte cose interessanti e ci siamo rese conto che noi americani, effettivamente, mangiamo un po' male rispetto a voi italiani.

Dal seme al risolto


Un'esperienz all'Az. Agric a Fornaroli in un'antic ascina dell'800 alle porte di Pavia

Poiché amiamo tanto il riso, io e Claudia abbiamo deciso di andare a vedere dove si produce. Volevamo quasi vestirci da mondine e arrivare nei campi immedesimate nella parte, ma poi abbiamo pensato che ci avrebbero prese per matte e allora... niente.

L'esperienza all'Azienda Agricola Fornaroli però è stata ugualmente incredibile. Nonostante una giornata un po' nuvolosa, siamo riuscite a vedere dove nascono le piantine e a conoscere tutto il processo di crescita, fino a quando il bel chicco bianco viene raccolto nel sacchetto di tela. I campi dell'Azienda si estendono su 90 ettari a Sud-Ovest di Pavia, tra il Po e il Ticino, una posizione geografica molto favorevole per la coltura.

Le acque dei due fiumi, che per secoli hanno bagnato quell'area, prima di ritirarsi hanno depositato milioni di microrganismi che rendono ancora quasi superfluo l'uso di concimi chimici. Le risaie vengono inondate dalle acque del fiume Ticino, le cui proprietà organolettiche rendono il riso naturalmente ricco di caratteristiche fisico-chimiche speciali. Insomma, è un prodotto buono, genuino e sano, tanto che tutta l'azienda ha ottenuto il Certificato del Manuale di Autocontrollo Alimentare.

Nella Cascina Paradiso Vecchio abbiamo visto tutto il procedimento e sono rimasta particolarmente colpita dai macchinari che separano e selezionano uno dopo l'altro i diversi chicchi, escludendo quelli rotti o bacati. In una stanza tutti gli ingranaggi procedono all'unisono e seguendo il percorso di un chicco durante ogni fase ci si può rendere davvero conto di tutto il processo di produzione.

Alla fine, messi su un vassoio scuro, si può osservare la differenza di colore dei vari chicchi fino al bianco perlato tipico. A conclusione della nostra visita io e Claudia l'abbiamo anche assaggiato questo magnifico riso e per farvi deliziare, ecco gli ingredienti della ricetta del:
 

Risotto al Barbera


Ingredienti per 4 persone

  • 360 g di riso
  • 30 g di burro
  • 1,5 lt di brodo vegetale
  • 1 bicchiere abbondante di vino Barbera
  • 1 cipolla
  • 2 cucchiai di salsa di pomodoro
  • 4 foglie di salvia
  • 1 foglia di alloro
  • noce moscata q.b.
  • sale e sepe q.b.
  • 20 g di Parmigiano reggia-no grattugiato.

Sgusciando... s'impara!

La frutta secca compare nel piatto degli Italiani soprattutto nel periodo natalizio ed è per questo che si a associa sempre alle tavolate delle feste, quando a fine pasto non resta che sgusciare!

La frutta secca comprende nocciole, noci, mandorle, pinoli, arachidi, pistacchi e anacardi (che in realtà non sono frutti ma semi) oltre a uvetta, fichi, albicocche, prugne, banane... disidratate artificialmente.

Le nocciole, ricche di vitamina E, contengono anche sostanze considerate utili a prevenire le malattie cardiovascolari, i cosiddetti fitosteroli. Le noci, molto consumate in Italia, sono ricche di potassio e fosforo e hanno un buon contenuto di lipidi che aiutano a combattere il colesterolo.

Attenzione, però, perché le noci sono anche molto caloriche: con 100 grammi di prodotto si assumono quasi 700 Kcal. Le mandorle sono le più ricche di Vitamina E, i pinoli di proteine e di vitamina A. Le arachidi sono molto caloriche e proteiche.

I pistacchi, ricchi di fitosteroli, potassio e ferro, di preziosi antiossidanti e di vitamine E e A, originari del Medio Oriente, sono oggi un prodotto tipico siciliano. Gli anacardi infine arrivano dal Brasile e sono ricchi di sali minerali e di vitamine B1 e B2.

Occhio a...


Quando si compra la frutta secca, bisogna fare attenzione ad alcuni particolari. Se acquistate noci, nocciole, o altro, con il guscio, badate che quest'ultimo sia pesante. L'aspetto esterno dev'essere omogeneo, per colore e forma. Quando lo aprite, controllate che frutto e guscio siano ben aderenti.

Se si tratta invece di fruttigià sgusciati, sarebbe meglio acquistarli in confezioni sotto vuoto o almeno sigillati in sacchetti piccoli. Questo perché l'aria compromette il seme e ne disperde le qualità nutritive. Il guscio, infatti, è la migliore confezione disponibile: è stato progettato dalla natura per conservare per molto tempo il frutto al suo interno.

Uvetta, fichi, albicocche e prugne... invece sono frutti che vengono disidratati artificialmente attraverso una tecnica che si è affinata col tempo e si adotta ormai anche per mele, arance, ananas e frutti rossi secchi, consumati come snack o per colazione.

Ultimo consiglio: se acquistate frutta secca sfusa, con o senza guscio, accertatevi che il negozio abbia un ricambio frequente del prodotto.

A ognuno il suo tappo


Nel corso della Storia è stato usato di tutto: pietre, pergamene, stoffe, ma è con la scoperta di altri materiali che il tappo s'evolve.

Che sia di sughero, metallo o plastica, la sua funzione è quella di sigillare un contenitore, affinché nulla possa uscire e nulla possa entrare, evitando il rischio di alterazioni che sarebbero un problema, soprattutto per i produttori di vino. Da quando aziende ed enologi hanno scoperto il sughero, il tappo è diventato un elemento importantissimo, non solo per le sue capacità isolanti, ma anche per la bellezza estetica del turacciolo, parte integrante del design della bottiglia.

Tipologie


Per chi produce un vino, la scelta del tappo diventa importante, perché ce ne sono di diversi tipi. C'è quello di sughero monopezzo, realizzato da un unico taglio della corteccia, il più prezioso e costoso; c'è il tappo a due dischi, formato da due diverse lavorazioni della corteccia, assemblate alle due estremità di un pezzo centrale di granuli agglomerati; e infine, c'è quello realizzato interamente con granuli agglomerati, usato soprattutto per vini di valore contenuto.

Anche il tappo degli spumanti e degli champagne è realizzato in sughero, genericamente con due estremità di sughero puro e un pezzo di agglomerato, ma la scelta dipende molto dalla casa produttrice e dal pregio delle bottiglie.

Negli ultimi anni il sughero è diventato sempre più raro e costoso e allora la tecnologia è arrivata in soccorso creando un tappo di materiale termoplastico. Sono chiusure meno pregiate, ma dotate di buona funzionalità.

Ai tappi di sughero o sintetici si sono aggiunti poi i tappi a vite di plastica, che garantiscono le stesse prestazioni di quelli in termoplastica, ma sono poco gradevoli alla vista ed è per questo che in Italia non hanno conquistato la grande distribuzione. Le cose cambiano oltremanica: i vini inglesi, infatti, sono chiusi al 99% proprio con tappi a vite in alluminio, come quelli che usiamo per l'olio.

La corona per la birra


Il tappo a corona fu brevettato per la prima volta a Baltimora verso la fine dell'Ottocento e da allora ha conquistato prima gli Stati Uniti e poi il resto del mondo. È un tappo che assicura l'assoluta tenuta stagna, soprattutto in presenza di gas, ed è per questo che viene usato per tappare gli spumanti nel periodo di fermentazione in bottiglia, prima che la maturazione sia completa e che si passi al sughero. Il tappo a corona è usato per la birra proprio per la sua capacità di resistere alla pressione interna del gas, anche quando la bottiglia viene agitata.

Iginio Massari, il maestrodella pasticceria italiana

Una chiacchierata con il maestro dei maestri Iginio Massari, indiscusso ambasciatore della pasticceria italiana nel mondo.


Abbiamo incontrato il pasticcere plurtirremiato a Sweety of Milano, il festival della pasticceria, dove, introdotto da Maurizio Santin, ha tenuto una lezione sulla "Saint Honoré milanese". Per dirvi che tipo è, mentre descriveva nei minimi dettagli la preparazione e la composizione di un dolce meraviglioso, ha trovato il tempo di parlare dell'invenzione del frigorifero, di Pasteur e della pastorizzazione del latte, delle migliaia di morti che la crema chantilly ha causato nell'Ottocento (provocando un certo sgomento in sala) e, "già che ci siamo", ha strigliato un paio di suoi assistenti per come avevano montato la panna.

Insomma, parliamo di un "dio" della pasticceria, anche se lui si definisce un artigiano.

Sa che la Saint Honoré la chiedevo sempre per il mio onomastico? Era l'unica tortagelato che vendevano nei bar dei campeggi ad agosto. Finalmente ogFll ho assaggiato quella vera.

Scommetto che non sapeva che avrebbe assaggiato la "Saint Honoré milanese", che è molto diversa dall'originale francese. Nella versione d'oltralpe si usano dischi di sfoglia e un bordo di pasta di brioche, mentre nella nostra versione c'è il pan di Spagna ed è di Milano.

A proposito di queste differenze, come si pone la scuola italiana rispetto alle altre scuole di pasticceria?

La scuola "Italiana" non c'è! In Francia nel 1922 dopo la Grande Guerra i Ministri del Lavoro e dell'Istruzione, per incentivare la ripresa, pensarono di ampliare il percorso di studi di tutte le categorie artigianali, per prepararle in modo più completo. Hanno adottato lo stesso sistema Tedeschi, Spagnoli, Belgi e Inglesi. liItalia nel settore artigianale non si è mossa. Si parla di scuole, ma io spesso vedo dei "parcheggi", a meno che non siano gli insegnanti a stimolare gli studenti. 

Ricordiamoci che conoscere bene un mestiere o una professione è una ricchezza sicura, una garanzia. Il mestiere del pasticcere ha bisogno dell'intelletto, ma anche dell'abilità manuale, perché entrambe le cose contribuiscono a fare in modo che un prodotto sia straordinario. Le scuole devono avere lo spazio e gli strumenti per l'esercizio quotidiano, per ripetere le gestualità che portano al raggiungimento della perfezione; solo così si riesce a fare qualcosa di straordinario. Nella pasticceria bisogna cercare la perfezione semplice del cerchio di Giotto.

Se non si può parlare di scuola italiana, si può almeno parlare di tradizione italiana?

La tradizione italiana è straordinaria ed è territoriale. Se ci pensa, è stata la pubblicità industriale a rendere giustizia alla pasticceria italiana, diversamente molti dolci sarebbero rimasti circoscritti in manciate di chilometri. Stessa cosa nella cucina. Ogni progresso è stato raggiunto grazie all'informazione, più o meno corretta, certo, ma che ha avuto un grande impatto sul pubblico. Non c'è cibo che abbia successo se non è ben raccontato.

È grazie all'informazione pubblicitaria che il dolce italiano è arrivato all'estero?

A suo parere viene interpretato nel modo corretto? Non c'è opposizione preconcetta per il dolce italiano, ma deve essere buono!

Pranzi, cene, sfiziosità e... chili di troppo

Sta arrivart Natale, con regali, le luci, le prelibatezze; i giorni trascorro felici ma quando le feste finiscono lasciano un po' di nostalgia e anche qualche chiletto in più.



Le feste non devono essere l'occasione per togliersi le vo ie represse. Una fetta di panettone a colazione, un pranzo o una cena di festa, un brindisi augurale e qualche leccornia durante la giornata (torrone, frutta secca, cioccolatini ecc.) possono determinare un apporto quotidiano anche di 3000-4000 Kcal che, se assunte per tutto il periodo di festa, comportano un incremento di 3 o 4 chili di peso corporeo. Per passare indenni attraverso queste giornate così insidiose è importante imparare sia a scegliere che cosa mangiare al ristorante, sia a costruire menu più sani ed equilibrati. 

Suggerimenti pratici


In media un pasto deve apportare circa 800 Kcal con una corretta ripartizione dei nutrienti: un buon apporto di carboidrati, un giusto bilanciamento di proteine e di grassi, con un'attenzione alla qualità di questi ultimi. Per esempio, quando siamo al ristorante scegliamo piatti non troppo elaborati, evitando fritti e intingoli; iniziamo il pranzo o la cena con un antipasto contenente verdure le cui fibre ci regaleranno sazietà.

Nell'attesa del servizio, evitiamo di sgranocchiare pane, grissini o focacce: il loro apporto calorico non è indifferente e aumentano i grassi complessivi del pasto. Un calice di vino è più che sufficiente per accompagnare un buon pranzo o una cena, soprattutto se preceduto da un aperitivo. Infine, cerchiamo di concludere con un dessert a base di frutta in modo da toglierci la voglia del dolce ma senza appesantirci troppo.

Nella preparazione dei nostri menu prevediamo pure piatti sfiziosi, ma rielaborando in chiave più leggera ricette classiche: per esempio possiamo sostituire panna e besciamella con ricotta ammorbidita, o il mascarpone con yogurt compatto, o ancora alleggerire la maionese con una cucchiaiata di yogurt. Preparariamo le giuste quantità per evitare di avere avanzi da finire nei giorni successivi.

Facciamo i bravi!


Il periodo di festa non deve durare dal 1 dicembre al 7 gennaio, ma solo 4 o 5 giorni. Nel tempo che intercorre tra un'occasione gastronomica e l'altra è sicuramente importante seguire una sana alimentazione, assumendo le giuste calorie e avere uno stile di vita più attivo, impegnandoci a camminare almeno 30-40 minuti al giorno, con passo sostenuto.

In conclusione, concediamoci qualcosa in più nei giorni di festa, ma cerchiamo di essere bravi nei giorni normali.

Non solo yogurt

Fabio Picci, medico e ricercatore scienza della nutrizione, è un sostenitore del consumo, fin da piccoli, degli alimenti fermentati.

Se vi dicessi che i bambini italiani sono affetti da molte più malattie allergiche e iytestinali dei bambini nati in Tanzafia ci credereste? Probabilmente no e fareste male, perché è la verità. Il merito può essere attribuito, almeno in parte, al grande uso che si fa nei Paesi africani di alimenti fermentati, che contengono diversi tipi di batteri `buoni'. E la maggior parte degli alimenti fermentati consumati da adulti e bambini proviene in realtà non da derivati del latte, yogurt o simili, ma da frutta, verdura e cereali.

Una volta svezzati, anche ai piccoli si danno verdure e frutta fermentate. Sono ottimi alimenti, che potrebbero piacere tanto anche agli adulti e ai bambini occidentali, eppure sulle nostre tavole quasi non se ne vede traccia. Lo stesso vale per le carni o i pesci fermentati che abbondano nella cucina asiatica e caraibica.

Fermenti vivi nella dieta quotidiana


Teniamo presente che circa un terzo degli alimenti presenti nelle diete tradizionali dei popoli più poveri del mondo viene consumato sotto forma di cibi e bevande fermentati semplicemente perché questo è l'unico modo per conservarli. Molti studi scientifici correlano la quantità di cibi fermentati presente nella dieta con il benessere e la longevità: per esempio il kefir, una bevanda a base di fermenti lattici, oppure i derivati dai semi della soia gialla fermentati, il formaggio di mandorle... Più sono e meglio è!

Purtroppo negli ultimi cinquant'anni questo tipo di alimenti è progressivamente scomparso dalle nostre tavole. Così il lievito chimico, che innesca la lievitazione senza indurre quei cambiamenti che rendono l'alimento più digeribile e assimilabile, si è sostituito a quello acido. Oppure, le verdure sono messe sottaceto saltando la fase della fermentazione. Tutto questo ha influenzato nel corso del tempo anche il nostro gusto (e quello dei nostri bambini).

Oggi sono in tanti a pensare che seguire una dieta di tipo "industriale", senza integrarla con alimenti vivi, sia un modo per selezionare nel nostro intestino i batteri meno salutari. Per quanto possiamo raccontarcela, il fatto che noi siamo quello che mangiamo rimane una delle verità più incontestabili che si conoscano.

sabato 23 gennaio 2016

Un panettone per ogni stagione

Ottanta anni fa, a Milano, Luigi Cucchi, con la moglie Vittorina, decide di lasciare la tabaccheria ereditata dalla sorella e traslocare all'altro angolo di piazza Resistenza Partigiana per aprire un caffè concerto.

Il panettone classico di Cucchi è realizzato con lievito madre e doppio impasto. La sua lavorazione richiede circa 70 ore. Contiene arance e cedri candli, uvetta sultanina. Ovviamente non ha conservanti. Sono state però previste delle varianti per "destagionalizzare" il prodotto.

«Fu una scelta coraggiosa — racconta il figlio, Cesare Cucchi— perché questa era una zona di dubbia fama. I miei genitori decisero di aprire qui questo locale, per l'epoca molto alternativo, e di scritturare un'orchestra spagnola che suonava dalle 22 alle 2 del mattino. Io ero piccolo, ma ricordo che a mezzanotte si faceva un piatto di pasta o polenta per riuscire a tirare fino alla fine». Quando nell'agosto del 1943 Milano viene bombardata, l'intera palazzina è in macerie, ma il locale riapre con mezzi di fortuna nel '48, anno in cui la famiglia decide di aggiungere l'angolo pasticceria. Il locale è rifatto così come lo si vede ora, con uno stile un po' retrò e i laboratori di pasticceria ricavati dai rifugi antiaerei.

La forza della tradizione


«Siamo molto tradizionalisti e facciamo prodotti non tanto dissimili da allora — racconta Cesare Cucchi, che ha continuato con amore l'attività dei genitori. Usiamo la pasta lievitata e realizziamo veneziane, brioches, e soprattutto panettoni». Da Cucchi, infatti, il panettone lo puoi trovare tutto l'anno, da settembre a giugno, con produzione giornaliera.

«Usiamo solo prodotti naturali e lievito madre; produciamo circa 30 kg di panettone a settimana perché vogliamo strappare questo dolce al marketing natalizio». Pian piano ci sono riusciti: effettivamente, la pasticceria ha una clientela fissa e affezionata che compra il panettone almeno una volta a settimana. E molti fan di questo dolce meneghino sono giovani.

La forza della Pasticceria Cucchi, dunque, è la continuità col passato che si traduce non solo in ricette antiche e memoria storica, ma anche in ambientazione e cura dei dettagli. Ancora adesso, entrare è come fare un salto nel passato per ritrovarsi seduto al tavolino di una caffetteria del '900. Gli arredi sono ancora quelli originali e tutta l'atmosfera è calda e piacevole.

Tante ricette


Molti clienti non rinuncerebbero mai anche solo a un caffè al bancone della Pasticceria, perché si sentono coccolati, quasi rincuorati dalla presenza di un baluardo della Storia che resiste, nonostante i tempi e la crisi. Le ricette dolci e salate nel frattempo si sono moltiplicate e la cura estetica dei prodotti è straordinaria. Resta come punto fermo il panettone. «È un prodotto storico che non vogliamo modificare, anche se introdurre cose nuove può allargare il mercato. Magari lo faranno le mie figlie».

La cena di Natale di Caminadella dolci

Ormai conoscete bene Elena Rasi e Daniela Bianchi. Le titolari di Carninadella dolci, rispettivamente cuoca e pasticcera, hanno composto un golosissimo menu natalizio solo per noi di CiBi, spiegandoci in modo davvero semplice preparazioni complesse.

Il menu prevede portate limitate, ma molto gustose e di sicuro successo con i vostri ospiti:
  • Antipasto: P'àté di fegato di vitello
  • Primo: Timballo di tortellini con besciamella e ragù
  • Secondo: Faraona arrosto ripiena di castagne
  • Dessert: Soufflé al cioccolato con composta di ribes rosso e panna montata.

Peste di fegato di vitello


Ingredienti:
  • 400 g di filetto di maiale
  • 400 g di fegato di vitello
  • 300 g di burro 
  • 2 dl di latte intero
  • 1 bicchiere di cognac
  • 4 foglie di salvia
  • 1 foglia di alloro
  • 1 cipolla
  • 1 spicchio di aglio
  • 5 g di gelatina in fogli
  • pepe bianco q.b.
  • sale q.b.
     
Tagliate il fegato a tocchetti e il filetto di maiale a fettine sottilissime. Scaldate il latte con l'alloro e, quando sta per bollire, immergetevi il fegato per un minuto.

Fate sciogliere 150 g di burro, unite la cipolla tritata, l'aglio schiacciato, le foglie di salvia e il filetto di maiale. Coprite e cuocete a fiamma bassa per 40'.

Aggiungete il fegato e il cognac, sale e pepe. Però togliete l'aglio e la cipolla. Frullate il composto in un mixer con il burro rimasto e passatelo 2 volte attraverso il setaccio di metallo a maglie strette. Trasferite il p'àté ottenuto in uno stampo a cassetta (30 cm) rivestito con pellicola e lasciatelo solidificare in frigo per 6 ore.

Preparate la gelatina, fatela rapprendere, tagliatela nella forma desiderata e decorate il p'àté che nel frattempo avrete sformato su un piatto da portata.

Timballo di tortellini con besciamella e ragù


Ingredienti per 8 persone:

  • 500 g di tortellini di carne
Per la pasta brisée:

  • 300 g di burro
  • 600 g di farina 00
  • acqua fredda q.b.
Per la besciamella:

  • 1 lt di latte fresco
  • 100 g di farina 00
  • 100 g di burro
  • sale q.b.
  • pepe q.b.
  • noce moscata q.b.
Per il ragù:

  • 250 g di carne di manzo macinata
  • 1 cipolla
  • 1 carota
  • 1 costa di sedano
  • 1 rametto di rosmarino
  • 1 bicchiere di vino bianco
  • 50 g di burro
  • sale q.b.
  • pepe nero q.b.
La pasta brisée
Aggiungete il latte poco alla volta continuando a mescolare, salate, pepate e aggiungete la noce moscata. Cuocete ancora qualche minuto e tenete da parte.

Il montaggio

Imburrate uno stampo tondo a cerniera. Stendete la pasta brisée con uno spessore di circa 5 mm di altezza, posizionatela sul fondo della tortiera e tagliate i bordi per lasciare solo la base. Impastate i ritagli e stendete delle strisce per foderare le pareti della teglia, pareggiate i bordi con un coltello e mettete in frigo a riposare.

In una casseruola portate a bollore dell'acqua salata, versatevi i tortellini e appena riprende il bollore spegnete il fuoco e scolate. Condite i tortellini con poco olio per evitare che si attacchino. Non devono essere totalmente cotti perché completeranno la cottura in forno. 

Mescolate la besciamella con il ragù, aggiungete i tortellini, versate nella teglia foderata e lasciate cuocere in forno a 180 °C per circa 45'. Fate raffreddare bene prima di sformare.

Faraona arrosto ripiena di castagne


Ingredienti: 
  • 1 faraona disossata di circa 1 kg
  • 200 g di castagne surgelate
  • 200 g di salsiccia
  • 200 g di pancetta tesa
  • 1 bicchiere di vino bianco
  • 1 bicchiere di brodo di carne
  • 1 rametto di rosmarino
  • sale q.b.
Fate sbollentare le castagne, tritatele e amalgamatele con la salsiccia e il rosmarino tritato. Stendete la pancetta tesa sul tavolo e appoggiatevi la faraona ben aperta.

Riempite la faraona con la farcia preparata, cucite la faraona riportandola in forma e ripiegate su di essa le fette di pancetta.

Rosolate la faraona in una teglia da forno con olio e cipolla, sfumate con il vino bianco e cuocete in forno a 180 °C per 50'. Bagnate ogni tanto con il brodo di carne per non fare asciugare.

Soufflé al cioccolato con composta di ribes rosso e panna montata


Ingredienti:

  •  120 g di cioccolato fondente
  • 6 uova
  • 50 g di farina di mandorle
  • 50 g di granella di nocciole
  • 125 g di zucchero semolato
  • 1 bustina di vanillina
Per la composta di ribes:

  • 400 g di ribes rosso
  • 3 cucchiai di miele
  • 200 g di zucchero semolato
  • 2 dl di vino rosso
  • cannella in polvere q.b.
Il sourrié

Fate sciogliere il cioccolato con un cucchiaio d'acqua a "bagno mania". Lasciate intiepidire, aggiungete i tuorli d'uovo, la vanillina, la farina di mandorle e la granella di nocciole.

Montate gli albumi aggiungendo lo zucchero e mescolate al resto del composto. Versate tutto in una teglia imburrata e inzuccherata, precedentemente riposta in frigorifero.

Cuocete per circa 30' in forno a "bagno maria" a 100 °C.

La composta

Versate tutti gli ingredienti in una casseruola e cuocete a calore moderato fino a raggiungere la consistenza desiderata. Sformate il soufflé su di un piatto da portata e decorate con la composta e la panna montata.

Buon appetito e buon Natale!

Natale, come da tradizione

Noi Faravelli rispettiamo le tradizioni, in particolar modo a Natale. Quindi proponiamo ai nostri clienti tutto quanto occorre per creare un perfetto menu delle Feste: il bue grasso di Carrù con cui si realizza un bollito eccezionale e un brodo squisito; un gran bel cappone ruspante, allevato per 7 mesi da un'azienda del Milanese che lo alimenta solo con i suoi prodotti; un cotechino prelibato, in versione friulana, il muretto di Sauris. Poi naturalmente abbiamo tutta la polleria di Natale: oltre al cappone, anche faraona e tacchina. Ormai in pochi sanno preparare bene questi avicoli, quindi lo facciamo noi: per ognuno di loro usiamo una farcitura particolare, aggiungendo a una base delicata le castagne per la tacchinella, i gherigli di noce e i pistacchi per il cappone, i carciofi per la faraona. Sui pacchetti scriviamo come cuocerli e il tempo di cottura.
 

Oltre alla carne c'è di più


Un menu di Natale si può arricchire con varie golosità d'antipasto della nostra gastronomia: paté, squisito di foie gras, marbré (terrine fredde di carni miste), insalata russa. Anche il salmone canadese selvaggio è speciale: pescato in Alaska, surgelato sulla barca, viene affumicato in Italia, a Sondrio. Per i primi piatti abbiamo gli agnoli e i ravioli di zucca mantovani, i cappelletti modenesi, i ravioli di borragine, i passatelli, buonissimi in brodo. Da noi si trova anche un vasto assortimento di formaggi, italiani e francesi, e di salumi. E si riscopre la galantina, un prodotto tipico natalizio milanese, fatta di carne di pollo e di vitello cotta e assemblata, tartufata e lardellata. A tutto questo affianchiamo la nostra curatissima enoteca: per lo champagne ci riforniamo da tanti piccoli produttori; per il vino ci rivolgiamo, oltre che alle grandi marche, a piccole aziende, anche biodinamiche; per il whisky selezioniamo le migliori etichette.

Dulcis in fundo


Per decorare la tavola proponiamo frutta esotica e nostrana: dal melograno alla ciliegia, dalla carambola alla papaya o al mango. Infine il panettone fatto con lievito madre, o la nostra torta di mele o al cioccolato. E ancora, sorbetto o gelato perché noi con le Officine del gelato produciamo anche quello. Il nostro segreto? Siamo un gruppo affiatato e competente, che si è diviso settorialmente il lavoro per fare ogni cosa al meglio. Tutto questo è sinonimo, oltre che di qualità, di sicurezza alimentare.